Era questione di tempo, ma alla fine anche gli ultimi si sono accorti di Achille Lauro. E come spesso accade quando c’è in gara a Sanremo un personaggio un po’ borderline, cominciano a fioccare le polemiche, come quelle che l'anno scorso all'Ariston ha suscitato la sua “Rolls Royce”, accusato all'epoca di essere un inno a chissà quali droghe.
Nel 2020 la canzone che Lauro de Marinis (il suo vero nome) ha portato sul palco, non è la causa scatenante delle polemiche. "Me ne frego" ha dalla sua ha il merito di svuotare di significato uno slogan da Ventennio e di renderlo totalmente innocuo. Ad aver scatenato il polverone di quest'anno è stato il vero e proprio look di Achille, che si è presentato alla prima serata in una mise di pailettes, molto gender fluid, che si rifà al San Francesco dipinto da Giotto in una delle storie della Basilica di Assisi. Una scena che a suo dire è "il momento più rivoluzionario della sua storia in cui il Santo si è spogliato dei propri abiti e di ogni bene materiale per votare la sua vita alla religione e alla solidarietà".
E così, in una provocazione fra sacro e profano che sicuramente avrà fatto strabuzzare gli occhi ai più attempati fra i milioni di telespettatori, Achille però ha messo in campo ben altro. «Cinquantenni disgustosi, maschi omofobi. Ho avuto a che fare per anni con ‘sta gente volgare per via dei miei giri. Sono cresciuto con ‘sto schifo» ha spiegato. «Anche gli ambienti trap mi suscitano un certo disagio: l’aria densa di finto testosterone, il linguaggio tribale costruito, anaffettivo nei confronti del femminile e in generale l’immagine di donna oggetto con cui sono cresciuto».
Spogliandosi della mascolinità tossica, Achille Lauro ha rifiutato le convenzioni che secondo lui generano violenza e discriminazioni. Non è che l'ennesimo gesto ribelle di un individuo ribelle, fuori dal comune proprio per via della vita intensa che ha già vissuto nonostante i manco 30 anni. Rivediamola, dividendola in cinque tappe fondamentali.
Gli inizi
Lauro De Marinis, 29 anni ancora da compiere, nasce a Roma l’11 luglio 1990, in un contesto familiare non proprio facile. «La mia famiglia era scioccante» scrive Lauro in “Sono io Amleto” biografia anomala uscita di recente per Rizzoli. «le dinamiche affettive erano talmente complicate da costringermi a una costante attenzione su di esse: sembrava che nessuno fosse al posto giusto, che nessuno provasse quello che doveva provare». È un bambino brillante, ma i suoi innocenti pomeriggi passati a giocare con i suoi coetanei in Via Conca d’Oro diventano ben presto tutto fuorché innocenti.
A partire dalla prima media, Lauro comincia a dedicare giorno e notte a soddisfare un desiderio costante di avere, che questo si traduca nello spacciare in strada o rubare motorini e rivenderli. Cresce con il mito del criminale eroe, ma per fortuna (e sfortuna) sarà la sua condizione familiare a fornirgli una via di fuga.
Barabba e i primi passi nella musica
«Quando io e mio fratello ce ne andammo a vivere da soli non avevamo mai nemmeno cucinato mezzo piatto di pasta» scrive Lauro proseguendo nel racconto. A 14 anni, lui e il fratello Federico, più grande di lui di 5 anni, si ritrovano catapultati a forza nel mondo degli adulti. I genitori si sono trasferiti in un’altra città (pare per motivi di lavoro), così i due da un giorno all’altro finiscono a vivere insieme, con altri amici, ma molto a più stretto contatto l’uno con l’altro. «Mio fratello fu un padre per me. Una delle prime volte che mia madre ci venne a trovare scoprì una pistola che io e un mio amico avevamo nascosto nell’armadio, miracolosamente Federico riuscì a convincerla che fosse finta, e rotta per giunta.»
Federico è anche DJ e producer per Quarto Blocco, un collettivo rap della zona. Vivendoci tutti i giorni a stretto contatto, è inevitabile che Lauro cominci ad assorbire rime e barre. Federico suona anche la techno ai rave, cosa che apre una parentesi davvero allucinata della vita di Lauro, fatta di eccessi e abusi vari, ma poi inevitabilmente si chiude (come anche quella del periodo punk hardcore) in favore di un passaggio fondamentale della sua vita: il primo mixtape, “Barabba”. È un’opera rudimentale, sincera e messa in piedi con gli altri del Blocco, ma è la prima a portare la firma presa in prestito dall’armatore napoletano dell’epoca fascista, Achille Lauro.
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Il making of di "Angelo Blu"
Roccia Music
Il nome di Achille Lauro pian piano si fa strada nelle vie dell’Urbe, alimentato da un altro mixtape “Harvard” e da una fama da bad boy e dealer, attività che nel frattempo è proseguita a pieno regime. Nella sua scalata in alto (non si sa bene in quale ambito ma pur sempre verso l’alto) Achille a un certo punto incontra Noyz Narcos, storico nome della scena romana e tramite con la scena milanese (in quanto milanese di adozione). È lui probabilmente a fare il nome di Achille a Marracash e Shablo, oscuri signori della Roccia Music. È il 2013, la trap sta esplodendo e i due guru del rap biz stanno reclutando talenti un po’ ovunque.
Fra di loro c’è un giovane Sfera Ebbasta e anche un ragazzo di Roma. Il contratto con Roccia arriva dopo un incontro a Londra con Marra e Shablo, ma più che un traguardo significa un inizio. «Ed è una leggenda quella che firmi e fai i soldi. Firmi e cominci a lavorare, questa è la realtà. Allora ho fatto “Immortale”.» Il primo album, giusto per cominciare con l’umiltà che poi lo ha sempre accompagnato negli anni, si chiama “Achille Idol Immortale”. Seguirà un EP, “Young Crazy” e un altro album, “Dio c’è”, che consolidano la tendenza già vista in Immortale di fondere trap con elementi cristiani, quasi evangelici. Qualcosa che non gli porterà troppa fortuna.
La fine dell’amore con Roccia e Ragazzi Madre
Dopo due anni di amore, la storia con Roccia Music finisce bruscamente, il 30 giugno 2016. Non ci è dato sapere il motivo della rottura. Lauro tende a stemperare l’accaduto, parlando bene dell’esperienza, Marra e Shablo non ne parlano, mentre i rumour nell’ambiente vedono una scelta freddamente discografica da parte dell’etichetta. Del tipo, Sfera sta funzionando e Achille non restituisce i numeri aspettati, ergo teniamo Sfera. Ma ripeto, si tratta pur sempre di voci. Fatto sta che l’esperienza lo lascia segnato a tal punto da spingere Lauro a fare quello che ha sempre fatto nella vita, cioè sbrigarsela da solo.
Arriva così la No Face Agency e un terzo “Ragazzi Madre” (2016) che finora è il suo lavoro più apprezzato, oltre che il più conosciuto. Aiutato anche dall’amicizia di Boss Doms, suo amico e produttore, Lauro riuscirà a smarcarsi da un momentaneo periodo morto, una buca di attenzione da cui rischiava di non uscire mai dopo l’affare Roccia Music. Contemporaneamente alla partecipazione alla trasmissione di Pechino Express, Lauro a fine 2017 ottiene anche il primo contratto major con la Sony Music.
Pour l’amour e Sanremo
Nel 2018 arriva "Pour l’amour", quarto album che lo consacra a freak assoluto della scena trap italiana (da cui è tratta anche "Angelo Blu". Non è nemmeno trap, ma a detta di Achille qualcosa di simile alla samba trap. In ogni caso, un disco eccentrico e difficilmente incasellabile. Con la partecipazione a Sanremo, era inevitabile che qualche polemica su “Rolls Royce” e il suo passato sarebbe sbucata fuori. Ma, se Lauro saprà muoversi nella musica come si è mosso nella vita finora, il tutto potrebbe risolversi in una gigantesca vittoria. Come quando criticavano quel Vasco Rossi che nel 1983 a Sanremo stava in piedi per scommessa cantando “Vita Spericolata”.
Con Me Ne Frego, nel 2020 anche la sua seconda partecipazione a Sanremo 2021 ha fatto molto parlare di sé. Giusto in tempo per la terza comparsata nel 2021 con il singolo Solo Noi, dal sapore marcatamente glam rock. Nello stesso anno, ad aprile, esce Lauro, il nuovo album che ha anticipato l'ultimo successo in collaborazione con Orietta Berti e Fedez, Mille. Senza dubbio è lui a portarsi a casa il trofeo del tormentone dell'estate, con 3 dischi di platino.