Young Miles
© Mattia Guolo
Musica

Un giretto con... Young Miles

Un artista, una playlist, una chiacchierata intima, un giro nei ricordi, nei luoghi che hanno ispirato canzoni ed emozioni: un giretto con... Young Miles
Di Carlo Pastore
10 minuti di letturaPublished on
Nicolò Pucciarmati è un beatmaker italiano classe 2002, di Roma, con all’attivo già produzioni per gente come Salmo, Fabri Fibra e Massimo Pericolo. È conosciuto come Young Miles, ma tutti lo chiamano Giovane Miglio. L’utilizzo della traduzione letterale italiana del suo nome d’arte in inglese tradisce l’enorme simpatia che gli esseri umani provano nei suoi confronti: è un ragazzo che sa ridere e sorridere, sprigiona forza positiva e propositiva quando entra in una stanza. Quando chiami uno che magari non conosci neanche come se fosse il tuo amico da una vita c’è sempre un perché.
Nel suo nome - che è in realtà nient’altro che un meme, e quindi non c’è nulla da spiegare - io invece ci vedo la sensibilità di chi deve surfare la propria adolescenza comunicandola agli altri. La giovinezza - young - e la distanza dagli altri e dalle cose che vuoi - miles - che sono caratteristiche confuse e ormonali ad una certa età: ti mandano in sbatti e poi al paradiso nel giro di pochi secondi. Provo a dirglielo e mi risponde: “Sicuramente sono un meme vivente. Il mio nome mi piace così. Giovane è una parola che mi è sembra piaciuta, anche in italiano, solo che in italiano mi sembrava più grezza”.
Chiacchierare con il Miglio è un’attività che comporta grasse risate ma anche l’andare in profondità come non t’aspetteresti. Così come nelle sue strumentali si sente il barometro emozionale di un Gen Z che oscilla fra introspezione e tamarraggine, così in questo Giretto si passa dal nerdeggiare sui software fino a perlustrare un certo tema esistenziale a cui la pandemia ci ha inchiodati. “Mi piace l’idea che la musica rimanga sotto questo nome, con l’adolescenza addosso. La generazione di cui faccio parte mi piace veramente”, spiega, “anche se siamo incasinati mentalmente”.
Per il Giretto hai scelto Milano. Quando ti sei trasferito?
Realmente un anno fa, però sto a Milano da un bel po’, almeno da dicembre 2019. Inizialmente facevo avanti e indietro, poi a maggio 2020, alla fine del primo lockdown, mi sono trasferito.
Young Miles

Young Miles

© Lorenzo Iannuzzi

Una volta i romani dicevano che la miglior cosa di Milano era il treno per Roma.
Roma mi piace tantissimo. Io sono nato in provincia di Roma, non ho proprio vissuto la città. Sono uscite da qui le mie influenze, il mio stile. Ma io ho scelto Milano perché da un paio di anni a questa parte il 50% della mia famiglia è su. Mi sento a casa. Siamo tutti di fuori, trasferiti per la musica.
Cos’è Milano per te?
Il luogo di ritrovo della mia musica, delle mie origini musicali, delle persone che mi fanno stare bene. È il luogo dove vivono le persone che sono importanti per me, dove ho conosciuto tutti.
Chi è la persona che per te più rappresenta Milano?
Non voglio fare una sola scelta, però ti dico... per i ritmi e la pazienza sicuramente Slait: il sardo più milanese del mondo. (Ride, NdR)
A proposito di cose fatte a Milano. Hai ascoltato l’album di Red 64 Bars?
È una bomba. Devastante. Nulla da dire. Ho ascoltato in anteprima i brani prodotti da Greg Willen e Low Kidd, perché con il primo mi becco spesso e con Low lavoriamo nello stesso studio. Non a caso, non apposta, sono i miei due preferiti insieme a quello con Pyrex. In Red Bull 64 Bars vedo molto l’approccio “vado e spacco”, ciò che unisce è l’intento e l’attitudine. Sai che vai lì e devi fare una roba potente. Detta in modo grezzo è un disco di cartelle. L’attitudine è fondamentale.

3 min

Red Bull 64 Bars: Nitro prod. Young Miles

64 barre infuocate e inedite, prodotte da Young Miles e registrate da Nitro al Red Bull Music Studio

A livello di costruzione può ricordare il vostro Bloody Vinyl: molte collaborazioni.
L’identità in questo tipo di dischi è fatta dalla forza e dall’unione di ogni artista. Ad esempio “Bloody Vinyl” nasce come mixtape a livello storico, ma il volume 3 l’abbiamo pensato come tracklist da serata, come scaletta, e io e Ignazio l’abbiamo impostato come un nostro album. Ci siamo immaginati ogni brano ad un orario particolare. Abbiamo pensato che “Machete Satellite” stesse bene come apertura del set, ma alle 3 di notte c’era stato bisogno di qualcosa che spezzasse, quindi ecco “Altalene”.
A proposito di “maledetti vinili”. Sei un altro ragazzo che si è appassionato alla musica grazie al padre dj (mi vengono in mente Anna e Aka7even). Che tipo di dj era tuo padre?
Mio papà è sempre stato ossessionato dai vinili. Ora ha smesso di suonare in pubblico, ma in privato continua. Mi ha insegnato mille trick, mi ha messo in mezzo involontariamente. Anche grazie a lui io poi io sono naturalmente diventato un producer.
Chi ha imparato la musica attraverso il djing non ha l’ansia della melodia. Può scrivere un brano anche solo con un beat.
La prima cosa è l’approccio alla consolle, sui brani. A casa c’era dance music anni Ottanta e Novanta, ma anche Michael Jackson, i Police e gli U2, oppure pop americano. Intorno ai cinque anni ho ricevuto il mio primo computer: curiosando su internet e su Youtube ho scoperto i remix. Mano a mano volevo capire come creare un brano da zero. Come fanno a farlo? Per me era uno svarione: io non volevo suonare i brani degli altri, ma i miei.
E come hai fatto poi?
Ho scoperto FL Studio grazie ai dischi dei software demo in edicola. Non sapevo che cosa fosse e come si utilizzasse, così ho iniziato a informarmi guardando i tutorial. Poi ho visto le foto di artisti che usavano Fruity Loops, l’ho scaricato e ho iniziato a fare i primi remix EDM. Quello che vedevo volevo provare a farlo a modo mio. Per me la soddisfazione era fare remix di tracce pop, tamarre anche, e suonarle alle feste di compleanno.
Anche tu, come Casadilego o Blanco, hai lasciato la scuola senza averla finita. Non senti mai di vivere un rimorso da questo punto di vista?
Ho lasciato scuola all’incirca due anni fa, facevo l’Istituto Informatico. Sento rimorsi da un punto di vista di conoscenze e d’istituzione scolastica, cosa che è molto importante... anche se so che dirlo sembra paraculo, avendola io lasciata.
Perché hai mollato?
Non perché dovessi per forza fare musica - in realtà anche per quello - ma sicuramente perché a scuola non ero a mio agio. Ero debole. Mano a mano mi sono accorto che stavo bene stando a casa. Ho trovato il mio habitat, facevo musica. Trasmettevo dalla mia cameretta quello che provavo su strumentali varie, e mano a mano ho droppato qualcosa. Ho pubblicato “Nubi” per darmi forza di volontà, riuscire a scrivere qualcosa che avesse un fondo di significato biografico. Tirare fuori ciò che non mi faceva stare up. Grazie a quella mossa son stato meglio.
Per molti della tua generazione, stare a casa era una cosa normalissima e piacevole anche ben prima degli obblighi della pandemia.
Di base sono una persona affettuosa e aperta dal punto di vista sociale. Voglio bene alle persone - anche se non come una volta, forse. Posso dirlo senza voler fare il modesto: sono molto buono. Non mi piace in realtà poi così tanto stare a casa, mi manca soprattutto girare. Con la pandemia mi sono iniziato a porre alcune domande: se fossi uscito prima? Perché mi sono chiuso in casa? Devo dare realmente peso al passato? Alle scelte che ho fatto? Come faccio a essere qui? Come sono arrivato a questo punto? Non è né punto di partenza né di arrivo. Come ho fatto ad arrivare a collaborare con tutti questi artisti?
Che ti sei risposto?
Ogni singola scelta che compiamo nel passato influisce nel presente. Io il mio passato non lo cambierei mai. Sono contento di essermi chiuso in casa, da questo punto di vista. Non so se è corretto dirlo, ma il passato non mi dà più fastidio. Il futuro è il presente a cui ambisco. Non voglio pensarci, non voglio farmi domande per mettermi ansia. Però allo stesso tempo il futuro è bello da vedere da un punto di vista di emozioni.
Young Miles

Young Miles

© Mattia Guolo

Qual è il concept dietro “Not human crush”? Mi ha sempre intrigato il titolo.
Vivendo in casa, cercavo di rispondere sotto forma di strumentale a domande che potevano scaturirmi ansia. Mi esprimevo su LF Studio. In quel brano mi sono immaginato una ragazza per cui avevo preso una cotta, che ti dà qualcosa di particolare, che ti lascia una particolarità che ti attrae. È roba confusionaria a cui cerco di dare un senso.
Hai iniziato a mostrare il tuo volto, cosa che non facevi all’inizio della tua carriera. Cosa è cambiato?
Non è stata una scelta pensata, ponderata. Il fatto di non farmi vedere è andato a scemare in maniera naturale. Scialla, come diciamo a Roma. Mi son mostrato per droppare i meme, per fare Twitch. Preferisco far parlare la musica sicuramente, ma mi piace che Young Miles sia collegato ad una faccia.
Il meme è quella cosa che non si può spiegare, ma la guardi e ridi. Me lo spieghi?
Il meme ha una cultura sua, una cultura che ti puoi fare. Allo stesso tempo non mi voglio definire meme, mi piace ridere e far ridere perché sono proprio io fatto così. Sono un cazzone.
Ho fatto una stories in cui mi metto il cappello da poliziotto e suono il pianoforte: l’avevo fatto a Slait così per ridere, era nata stupidamente come cosa. Il meme è un culto. Ringrazio ci sia. Ringrazio internet.
Red Bull 64 Bars

Nitro e Young Miles

© Lorenzo Iannuzzi

Un altro che invece ancora si mostra praticamente mai è tha supreme.
L’amicizia che c’è fra me e lui è preziosa da un punto di vista personale. In un certo periodo ci siamo sentiti davvero tanto. È stato molto equo e genuino. Sono uno che lascia andare le cose. Fanculo, proviamo. Quel che succede succede.
Sei uno smanettone informatico.
Una delle mie passioni. A me è sempre piaciuto questo mondo in generale. Assemblare computer e programmare qualcosina, scrivere sui software, mi piace molto. Ti dico una cosa comica: in un anno ho cambiato quattro computer. Li ho riempiti così tanto di roba che li ho fatti lavorare talmente tanto che ne ho dovuto cambiare uno ogni tre mesi.
Ok, playlist. Spiegami come l’hai impostata.
La mia playlist l’ho fatta anche oggi, in treno, mentre tornavo a Roma. Dentro ci sono tutti brani secondo me che hanno lasciato un'impronta su di me, e globalmente. Sono brani precursori di un certo sound di oggi. Io sono del parere che la musica sia un ciclo. Tutto prima o poi torna, compresi i suoni. È giusto così.
Che ci hai messo dentro?
I brani che ho ascoltato più spesso di alcuni dei miei artisti preferiti: Skrillex, Avicii... Non sono fan dei Radiohead ad esempio ma ho messo un brano di Thom Yorke. Quando ero a casa mi dava ispirazione e influenza, colmavo il senso di vuoto con la musica, mi dava un mood assurdo. Ho messo Avicii, che è uno dei cuori dell’EDM, e non lo dico perché è mancato. Ha lasciato quell’impronta a tutti. Ci sono molte tracce ispirate dalla sua musica.
Tu sei proprio fan dell’EDM. Come è possibile!
Vengo da quella roba, mi piace non tanto la cassa dritta ma il suono dei synth, la pasta elettronica. L’EDM è un insieme di generi, e tutti i brani che ho messo in playlist mi hanno timbrato. Io sono super fan dell’idea dei festival, Il “crowd control”, controllare la folla, è fondamentale. Trasmettere emozioni è uno dei motivi per cui mi sono infognato per fare una traccia. Io volevo esser quello che faceva impazzire la folla con la mia musica.