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Neima Ezza
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Musica
Neima Ezza vuole che tutti conoscano la sua Perif
Il primo EP del rapper milanese arriva insieme a un documentario sulla sua vita: fra errori, speranze e la vita in periferia
Di Claudio Biazzetti
5 minuti di letturaPublished on
Quando parla della sua vita, Neima Ezza lo fa con il tono di una persona che ne ha viste molte di più di un suo coetaneo, un 19enne qualsiasi. Di errori ne ha fatti, ma nessuno di questi secondo il rapper nato in Marocco e cresciuto nel quartiere San Siro (Milano) costituisce un motivo di vergogna o ripensamento. «Sono come le ferite» mi racconta al telefono Amine (Ezzaroui, il vero nome). «Quando te le fai, fanno male. Ma poi la cicatrice serve da lezione. E le cicatrici non fanno più male».
La sua storia ancora breve ma decisamente intensa comunque è raccontata molto bene in Perif, il documentario sulla sua vita che è uscito insieme al suo primo, omonimo EP per la Yalla Movement di Jake La Furia e Big Fish. Voce fuori campo, grosse panoramiche sulle schiere infinite di case popolari e una bella testimonianza di com'è nascere e crescere nella Perif. E di come può essere ingiustamente penoso uscirne ogni tanto per andarsi a fare anche solo un giro in centro.
L'idea del mini documentario è stata tua?
Diciamo che avevo molte cose da raccontare di mio. Poi insieme ai ragazzi di Yalla Movement e di Sony è venuta fuori l'idea. È piaciuta a tutti, quindi l'abbiamo messa in pratica.
Di solito il documentario è una cosa che fanno gli artisti con più anni alle spalle, no?
Sì, ci sono artisti che lo fanno quando sono affermati, quando hanno un po' più di anni. Io, nonostante non abbia quegli anni, credo di avere la giusta esperienza. In termini di vita vissuta. Avevo un po' di cose da raccontare. Magari non ho raccontato proprio tutto, ecco. Certe cose non si possono raccontare in un documentario. Era comunque per farmi conoscere un po' da chi non mi conosce, o chi ha iniziato a seguirmi da poco. Bisognava mettere giusto due puntini sulle "i".
Rimpiangi qualcosa del passato?
Di tutto quello che ho vissuto? No, non rimpiango niente perché sono cose che mi hanno formato e che mi hanno reso ciò che sono oggi. Magari, non so, sul momento stesso in cui accadono ti dici "Che palle, ma perché? Perché proprio a me?" È come una cicatrice. Quando ti fai male e ti sbucci il ginocchio fa male, poi però quando cresci la ferita ti serve a ricordare che non devi più correre in quel determinato posto, non devi più fare quell'errore, ma di per sé il taglio non fa più male. È una cosa che ti forma.
Sei sempre stato in zona San Siro ma ora stai a Baggio. Ti sei trasferito da solo?
No, sono sempre in casa con i miei. Hanno la casa a Baggio. Però io sono sempre a San Siro. Anche in questo momento, sono nel cortile dove sono sempre stato. Non ho abbandonato il quartiere, sono sempre qui dalla mattina alla sera. Vengo sempre qui appena ho un buco libero, quando torno dallo studio. Quando posso sono qui. Zona Baggio c'è un buon legame con San Siro. Essendo due zone vicine, le persone sono quelle. Diciamo che mi sento più della sponda San Siro perché sono cresciuto qui. Quelli con cui sono cresciuto e ho mangiato sono qui.
Nel documentario dici una cosa che colpisce abbastanza: in centro hai paura come una persona del centro avrebbe paura in periferia.
Certo, perché quando un ragazzo di periferia va in centro si sente osservato. Quando andavo con i miei amici non mi sentivo osservato tanto dai ragazzini con le polo tutti vestiti bene, ma dai loro genitori. Non sai mai cosa stanno dicendo i genitori ai figli, tipo "Se non stai attento fai la fine di questo". No? Ti guardano con degli occhi pieni di sospetto. Anche quando devi entrare in un negozio hai sempre quella paura per cui molto spesso dicevo ai miei amici "Dai raga, entrate voi, io aspetto fuori". Sono sempre a guardare, a fissare tutto.
Questa cosa succede anche quando qualcuno del centro viene in periferia. Anche quando qualcuno che non è della nostra cerchia viene nella nostra zona lo guardiamo con un occhio diverso. Ma non per altro, è che non fa parte dei nostri. In entrambi i casi è diffidenza che crea soggezione. Ma la verità è che noi della periferia sappiamo come comportarci. Non abbiamo bisogno di guardare male o con un'aria superiore.
Secondo te cos'è che la gente non sa della periferia?
La gente non sa che qui ci sono dei sani principi. Che anche qui siamo cresciuti con educazione. Magari abbiamo avuto meno fortuna di altri, ma ne abbiamo avuta molta di più di altri ancora. Perché c'è sempre chi sta peggio. Abbiamo anche noi rispetto per quello che c'è intorno. Se stiamo seduti in un posto non sporchiamo, lo lasciamo esattamente così come l'abbiamo trovato. La gente a volte tende a pensare troppo in grande, per sentito dire.
Come sei entrato in contatto con Yalla Movement, cioè Jake e Big Fish?
Mi hanno scritto su Instagram dopo che avevo fatto uscire un paio di canzoni. Poi sono spariti per un po', perché non so, avevano altro da fare. Poi quando avevo fatto uscire altra roba ci siamo beccati in studio e da lì è nato tutto.
Il tuo primo pezzo?
Il primo non è neanche caricato sul mio canale, ma è sul canale di chi mi aveva fatto il video. Non è neanche un pezzo vero e proprio, ma un freestyle che si chiama Zed Sept.
Ma il primo vero pezzo di cui parli nel docu è Essere Ricchi (Part 1), giusto?
Sì, nel documentario racconto di come ci eravamo fissati il traguardo delle 10mila views su YouTube. Ma poi ha cominciato ad accumularne a valanga e non si è più fermato. Era andato bene, non mi aspettavo che andasse così. Merito anche dei miei amici che l'avevano postato ovunque. Poi vabbè, sono arrivati pezzi un po' più randagi come Zlatan.
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