I tizi di 2k Sports la sanno lunga, molto lunga. Lo dimostrano da anni, almeno 10. Da quando, cioè, la loro serie dedicata al massimo campionato cestistico statunitense, NBA 2k, ha scalzato i concorrenti, più e meno veterani, più e meno buoni, per affermarsi senza dubbio alcuno come la miglior simulazione digitale di pallacanestro al mondo.
Sì, tutti gli anni, meglio ribadirlo.
E non perché – come spesso accade per le simulazioni sportive – ogni 12 mesi i loro giochi si limitino ad aggiornare i roster ufficiali e a migliorare la realizzazione grafica. Questo, sia chiaro, avviene. Con tanto di mascotte realizzate al dettaglio e spettatori animati nei palazzetti – il sudore dei giocatori, quello, è ormai un classico. Ma insomma tutto ‘sto po’ po’ di roba è solo la punta dell’iceberg.
I titoli sviluppati dallo studio di New York, sussidiario del colosso Take Two Interactive, ogni anno stupiscono per la verosimiglianza con cui sanno ammaliare anche se non soprattutto chi, di pallacanestro, se ne intende. Magari per averla praticata per anni sul parquet, per aver allenato, o anche solo per aver trarcorso notti a guardarne le partite in diretta.
Sono l’inerzia del match, un aspetto più semplice a dirsi che a simularsi, la fisica di gioco – dal comportamento della palla agli impatti fra i giocatori - il tempo di reazione degli atleti, anche quelli controllati dall’intelligenza artificiale, gli infortuni quasi mai a casaccio, il morale di un campione capace di influenzarne le prestazioni, lo spirito di squadra. Addirittura le conseguenze delle dichiarazioni a mezzo stampa dopo le partite, o le cene organizzate per sollevare il morale collettivo di un team. Questo fa della serie di 2k il gioco più accurato e convincente per un appassionato della palla a spicchi.
Poi, ovvio, c’è l’abilità straordinaria dei reparti comunicazione e marketing.
Quelli che dal 2010, per Nba2k11, sono stati capaci di riportare l’icona mondiale del basket – sua maestà Michael Jordan, inchini consentiti – dentro e sulla copertina di un videogioco. Ne scrivevamo qui e venivamo ripresi anche dalle gloriose pagine del numero 100 di “ Nba Rivista ufficiale” (correte a recuperarla, se non l’avete già fatto).
Quelli, per intenderci, svelti a capire come MJ e il romanticismo del basket che fu – da Magic a Larry Legend – andasse mescolato alle nuove generazioni di campioni, con box ora dedicati ai giganti di un tempo, ora a quelli attuali come LeBron, Kevin Durant, Derrick Rose o Blake Griffin.
Quelli, per dirla fino in fondo, anche arguti nell’inserire in game micro-transazioni ultra proficue – vero, con non poco malumore fra i giocatori duri e puri -, colonne sonore curate da super star come Pharrell (Nba 2k15), una game production firmata Jay-Z (Nba 2k13) e modalità di gioco sempre nuove, dalla tradizionale carriera di un atleta inesistente – e customizzabile a propria immagine e somiglianza – alle partitelle in multiplayer nei migliori playground d’America.
Quelli, ancora, così scafati da inserire due edizioni fa un bel po’ d’Europa del basket in un panorama yankee centrico – ho personalmente assistito a una partita in cui baluardi dell’Olimpia come Alessandro Gentile e David Moss si sfidavano manovrando… se stessi.
Ecco perché, ogni anno, i più grandi cestisti al mondo accettano di finire sulla copertina della serie. Certo, non che si creda lo facciano solo per passione – immaginiamo non pochi dollari passare da una tasca all’altra –, ma per dare l’idea della percezione del videogame fra le squadre Nba si sappia di quella leggenda secondo cui addirittura Kevin Durant, al momento di andarci lui sulla scatola l’anno scorso, realizzò un video casalingo pregando lo studio di ricominciare a sviluppare un titolo dedicato alla pallacanestro collegiale. Qualche tempo fa non a caso tale Tim Duncan disse di aver perfezionato la balistica straordinaria dei suoi tiri giocando con la Playstation.
Ecco perché incensare su queste pagine, concentrate sugli sconfinamenti fra gioco e vita reale, Nba2k16, il capitolo in arrivo il prossimo 29 settembre (con un anticipo di 4 giorni per chi l’abbia ordinato).
Anzitutto perché l’edizione di quest’anno si fregia di una collaborazione tosta e per più di un motivo: quella di Spike Lee, per inciso non solo uno dei registi più personali della sua generazione, ma anche un conclamato fanatico mangia basket.
Ebbene, il regista di “He Got Game” e dei video di culto per le scarpe di MJ, sì, ancora e sempre lui – peraltro sulla cover della special edition di quest’anno -, non si è limitato a questa clip promozionale.
Lee ha scritto e curato personalmente la modalità “La mia carriera”, quella in cui il giocatore in carne e ossa è chiamato a riprodursi in versione digitale per intraprendere la via del basket dall’ultimo posto della panchina fino alla gloria planetaria. Non vediamo l’ora di testarne il risultato conoscendo la peculiare sensibilità del regista newyorkese, un cineasta capace di interpretare il basket nell’essenza più intima, leggendolo anche come tramite di affermazione degli afroamericani.
Poi perché la cover di quest’anno sfoggia ancora una volta la consapevolezza cestistica e comunicativa dello studio, che come testimonial ha scelto Stephen Curry, fresco di titolo quale miglior giocatore dell’anno nonché campione Nba con i suoi Golden State Warriors, James Harden, la barba più veloce della Lega in forza agli Houston Rockets, e Anthony Davis, il pellicano sulle cui ali – 227,33 centimetri di estensione - sempre più intenditori sono pronti a scommettere decollerà il futuro della pallacanestro mondiale.
Per farla breve, a 22 anni appena compiuti AD è la star assoluta dei New Orleans Pelicans, è già considerato uno dei cinque migliori giocatori al mondo, ha limiti che ogni anno sembra abbattere a suon di statistiche e lavoro duro, è da due anni (sui tre trascorsi nella Lega) il miglior stoppatore della Nba e a un tempo un’ala grande da 24.4 punti a partita, 10.2 rimbalzi e 2,2 assist (statistiche della stagione appena conclusa). Tutto arrivando dalla Perspective Charter School di Chicago, non proprio la culla mondiale dei prospetti sportivi.
Gli cediamo la parola volentieri, in esclusiva italiana. Che sia l’All Star dei Pelicans a raccontarci delle sue incursioni digitali.
Anthony, cominciamo con il chiederti cosa significhi per te essere l’uomo copertina di Nba2k16?
«Significa molto, perché tutti nella Nba conoscono 2k Games, è un attore importante nella Lega. Diventare l’icona su una copertina delle sue produzioni è una delle cose migliori mi siano capitate in carriera».
Dicci qualcosa a proposito degli atleti con cui condividi la cover, Stephen Curry e James Harden.
«Sono due campioni formidabili. Steph è stato l’Mvp della stagione e un protagonista nel trionfo dei suoi Warriors a fine campionato. James ha giocato un’annata strepitosa, forse la sua migliore. È semplicemente un onore essere con loro sulla copertina di Nba 2k16».
Sei un fan del videogioco?
«Non solo; probabilmente sono anche il più forte videogiocatore di tutta la mia squadra».
Quanto è realistica la simulazione?
«Molto. 2k riesce a restituire tutto in dettaglio, dal pubblico nel palazzetto all’ultimo uomo della rotazione. La forza della serie è la capacità di restituire fedelmente ciò che un atleta fa sul parquet, dai punti di forza ai suoi difetti».
Quale modalità preferisci quando giochi a Nba 2K?
«Di solito imposto la scelta casuale del team e mi butto».
C’è da credere gli riesca comunque bene. Anthony in fondo ha un 23 sulla schiena. Nell’ambiente pare un buon segno.
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