Ho dedicato mezza domenica al Mondiale Endurance. Sei ore di Portimao, seconda prova del campionato. Una mezza maratona allo scopo di capire se e in che termini questo ritorno alle gare di durata, così affascinanti per noi, nati nel secolo scorso, potrebbe davvero offrire una alternativa alla F1. Beh, mica tanto, a essere onesti.
Ho visto una Toyota vincente con un giro di vantaggio sulla Ferrari; ho visto una quantità di macchine diverse per forme e prestazioni, in circolo sulla stessa pista; ho cercato di star dietro alle classifiche di classe immaginando gli sforzi immani di spettatori che non per forza debbano studiare ore prima di sedersi in tribuna o davanti alla tv, alle prese con una ricetta confusa e soporifera. Servirebbe una lunga informativa per comprendere cosa accade, servirebbero grafiche più esaurienti, servirebbero tempi più ristretti, eccetera, eccetera.
Il fatto è che il format F1, con le sue tempistiche e il suo tasso agonistico, al netto di ogni critica possibile, ha ormai definito una consuetudine motoristica connessa alla velocità dominante che caratterizza la nostra cultura. Il fatto di confrontarci con una modalità diversa sarebbe interessante e persino utile (la lentezza, la riflessione valgono una gamma articolata di elogi, sempre) ma se penso all’Endurance, non ci siamo. Manca agonismo, mancano i protagonisti (le vetture di punta sono pochissime e troppo lontane tra loro nelle prestazioni) e le diverse categorie generano un caos permanente non supportato da una comunicazione adeguata. È come se F1, F2 e F3 corressero contemporaneamente, con la pretesa che le categorie minori debbano sopperire spesso e volentieri alla carenza del confronto nella categoria più importante. Il tutto per una entità di tempo francamente insostenibile. Quale disciplina oggi chiede tempistiche simili a chi guarda? Una corsa ciclistica forse, vista dal via e basata comunque su altri ingredienti. Il baseball? Mah. In aggiunta, pure nell’Endurance vengono introdotti elementi tipici della F1, pur di riattivare lo show, cosa che non ha nulla a che vedere con la natura, appunto, di una corsa di durata, le cui strategie risultano ben più maltrattate da provvedimenti di fatto estranei alle dinamiche del caso.