Ogni tanto mi torna in mente. Giancarlo Baghetti. Che è stato un gran pilota e un gran signore, una persona gentile e competente, un vero, profondo appassionato e addirittura – lo dico con orgoglio – un bravissimo collega.
Ogni tanto metto il naso nelle statistiche della Formula 1. È un passatempo che consiglio, saltano fuori sempre delle sorprese, qualche autentica rivelazione. Nomi e numeri come tappi capaci di sturare la memoria. Per esempio: piloti vincitori al primo Gran Premi disputato. Un nome soltanto: Baghetti, appunto. Vinsero la prima gara anche Nino Farina, ma si trattava della prima corsa di F1 della storia, quindi non vale, e John Parsons, ma correva solo a Indianapolis, quando Indy era inserita nel calendario della F1, quindi non vale nemmeno questo dato.
Baghetti, invece, oh sì. La sua storia è curiosa. Milanese, nato il 25 dicembre 1934. Un picco iniziale altissimo. Andava forte in salita, aveva corso bene la Mille Miglia del 1956 (la penultima), secondo di classe; aveva stravinto con le piccole Dagrada-Lancia di Formula Junior, si era guadagnato i galloni di pilota italiano più promettente a scapito di Lorenzo Bandini, pronto per il lancio attraverso la Federazione Italiana Sport dell’Automobile che disponeva di una Ferrari 156. Ma certo, allora succedevano anche cose del genere. E lui, continuò a vincere. Gran Premio di Siracusa; Gran Premio di Napoli su quelle strade magnifiche che attraversano Posillipo. Due corse non valide per il Mondiale prima di debuttare nel Mondiale, a Reims, in Francia, 2 luglio 1961. Dodicesimo in prova. Primo sul traguardo. Un caso unico, ancora oggi. Dan Gurney secondo con una Porsche a un decimo; Jim Clark terzo, ovviamente Lotus, davanti a Innes Ireland, Bruce McLaren e Graham Hill.
E poi… e poi il destino prese una piega diversa, complicato dai guasti di quella Ferrari (gestita dalla Scuderia Sant Ambroeus) immediatamente dopo, dalla decisione di seguire Carlo Chiti, progettista delle rosse, direzione ATS quando era ormai un pilota ufficiale di Maranello.
Insomma, pochissima fortuna, qualche errore strategico, molte delusioni. Compensate da una seconda vita, sempre in pista, sulle strade come giornalista, come fotografo, condirettore del settimanale AutoOggi. Disponibilità e competenza, un piacere stargli accanto. Lo ricordo una notte, nel parcheggio di un autogrill poco fuori Milano, in transito sopra una Fiat 131 Abarth Raid motorizzata diesel (tre esemplari realizzati). Arrivava da Londra, destinazione Sydney, in equipaggio con Tommaso Carletti, ingegnere di lungo corso, Ferrari compresa. Estate del 1977. Giancarlo aveva 43 anni, gentilissimo e un po’ preoccupato. Io di anni ne avevo 19 ed ero sbalordito perché stava lì ad ascoltare e a rispondere persino davanti a un pischello come me.
L’ha portato via un tumore il 27 novembre 1995. Suo figlio, Aaron è cresciuto con le stesse passioni di Giancarlo, è diventato un bravissimo fotografo pure lui, custodisce ricordi e cimeli.
Per me Baghetti rappresenta un epoca magnifica, non solo sportiva. La sua immagine raccoglie un’aria, un garbo, persino un modo di vestire che hanno a che fare con la nostra città, con quel tempo così carico di energie ed educazione. E mi è sembrato bello e giusto ricordarlo con voi oggi, alla vigilia di un'altra avventura, di un’altra prima corsa da consegnare alla memoria.