Soltanto qualche anno fa, cominciò a diffondersi la notizia che l’UNESCO avesse inserito il napoletano (e il siciliano) nella lista dei Patrimoni dell’Umanità, ergendole al rango di lingua. Il fatto circolò parecchio, soprattutto su Internet, dove generò campanilismi e moti d’orgoglio dei popoli coinvolti. Le cose però non erano andate esattamente come raccontavano i giornali online. L’UNESCO aveva chiamato in causa il napoletano e il siciliano, ma l’aveva fatto in un contesto molto più ampio che faceva riferimento alle “Lingua Mediterranea e del Sud-Italia, classificandole come in pericolo, e quindi sì, anche da preservare. Tutto ciò però non ha fatto altro che aumentare la convinzione diffusa che il napoletano si possa effettivamente considerare una lingua – anche se non ne esiste una grammatica condivisa – dato che neanche la Treccani riesce a dare una effettiva definizione della differenza tra lingua e dialetto.
Quello che ci interessa però è un altro aspetto della lingua napoletana: la sua musicalità. È conoscenza abbastanza diffusa che la grande canzone classica napoletana (quella di Murolo, Caruso o Carosone) abbia contribuito in maniera essenziale alla evoluzione e diffusione estera della musica italiana, generando pure una serie di stereotipi linguistici che non sono ancora scomparsi. Dopo la fine della Seconda guerra mondiale, invece, si cominciano a sviluppare da una parte le radici di quello che sarà il Neapolitan Power, che porterà ai successi dei Napoli Centrale, di James Senese e di Pino Daniele, dall’altra quello della canzone melodica napoletana, che da Mario Merola passa per Nino D’Angelo: una tradizione che però a un certo punto sembra finire e virare verso una sua versione più volgare (nel senso originale del termine): il neomelodico.
Proprio alla definizione di neomelodico si è fatto più volte ricorso quando si intendeva screditare il progetto e il lavoro di LIBERATO. Il misterioso cantante – e fino a prova contraria anche producer – che da poco più di un anno ha monopolizzato a correnti alterne i feed social, le radio e i set di mezza Italia. Ad accompagnarlo un immaginario visivo costruito ad arte da Francesco Lettieri, capace di raccontare un romanzo napoletano che assomiglia alla realtà in più punti. Quello di LIBERATO è l’ennesimo successo recente del brand Napoli, dopo Elena Ferrante o Gomorra, e solidifica una ritrovata attenzione verso tutto quello che succede nel capoluogo campano. All’indomani dell’uscita degli ultimi due singoli (“Intostreet” e “Je Te Voglio Bene Assai”), LIBERATO ha annunciato il suo primo concerto in terra napoletana, in una location non casuale, il Lungomare “Liberato”, in un giorno non casuale, il 9 maggio (data del suo primo singolo e dell’uscita del secondo) al calar del sole, quando sarà più difficile identificarlo e la sua identità farà meno fatica a restare incognita.
Un successo trasversale, inaspettato se si pensa che il 90% dei testi di LIBERATO sono in napoletano (resta un 10% che si dividono tra inglese e italiano), e che proprio da quei testi, così evocativi, non può prescindere per il successo della sua musica. Ora che il 9 maggio si avvicina, e che il numero di pezzi aumenta, abbiamo provato a stilare un piccolo vocabolario di LIBERATO, partendo dalle frasi delle sue canzoni che maggiormente prendono ispirazioni dalla tradizione linguistica napoletana. Tre piccole indicazioni prima di iniziare: in napoletano non esiste la "w" (lettera che deriva dall’alfabeto anglosassone) e quindi tutte le parole che ci sembrano poterla contenere, come wa (tipica espressione di stupore) o wagliù (ragazzi) sono in realtà scritte con la “u”: ua o uagliù. Il napoletano scritto poi fa un massiccio uso degli apostrofi per troncare le parole, alternativamente si possono utilizzare le versioni più tradizionali delle parole. Un esempio: cuore si scrive cor’ o, allo stesso modo, core.
9 Maggio, m’e sciarmat’, so rimast’ sott’ a bott’ mprissiunat’ (da "9 Maggio")
La strofa finale di “9 Maggio” è composta dalla ripetizione di tre versi praticamente identici se non fosse per la parola finale (“m’e lassato”, “m’e sfunnat’” e “m’e sciamat’”) che indica invece una sorta di climax di malessere sentimentale. La parola “sciarmat” deriva in questo caso dal verbo sciarmare, che può essere tradotto con lacerare, o distruggere. È una versione più colorita e passionale del semplice “sfunnat’” (sfondato) ripetuto prima e serve in questo caso ad accentuare la sensazione di dolore per la fine della relazione. L’etimologia della parola, d’altronde, ruota direttamente attorno al concetto di sentimento, derivando dal francese “charme”. Da qui arriva anche l’utilizzo più comune della parola “Sciarmante” – che probabilmente avrete sentito in Gomorra – che si dice di una persona eccessivamente elegante o fascinosa.
Te port’ addo’ vuo tu, parlamm chian’ chian’ (da "Tu T’e Scurdat e Me")
Se pure “ti porto dove vuoi” viene utilizzata spesso in italiano e nei testi di musica leggera, la variante napoletana di “te port’ addo’ vuo tu” nasconde una venatura più “scura” rispetto all’italiano. In particolare, la frase – molto utilizzata nei testi neomelodici – sta a significare una disponibilità pressoché totale a compiacere i desideri dell’altro. Quanto alla seconda parte della frase, invece, il chian’ chian’, tradotto come piano piano, lentamente, ha una origine condivisa con tutte quelle che abbiamo definito lingue meridionali, “chianu” ed è anch’essa un'espressione costante della tradizione musicale romantica napoletana.
Ie cu’ te ce so rimast’ asott (da "Tu T’e Scurdat e Me)
“Ce so rimast’ asott’” è un'espressione utilizzata più volte da LIBERATO. In napoletano “ce si iut asott’” è un modo di dire utilizzato per indicare dipendenza, un attaccamento quasi morboso a una persona o a una situazione. Non è certamente prerogativa napoletana (andarci sotto è un neologismo parecchio utilizzato) però è interessante notare come il linguaggio di LIBERATO non mutui solamente espressioni dalla tradizione, ma aggiorni il suo vocabolario con terminologie più nuove.
M’arrevuot 'o cor’ e po te ne vai, amm’ fatt’ ammor (da "Me Staje Appennen’ Amò)
“Arrevuta’” è una delle più famose (forse) espressioni napoletane fuori da Napoli e, allo stesso tempo, una delle più difficili da tradurre. Alla lettera, arrevuta’ starebbe per rivoltare e quindi capovolgere. In un senso più ampio, poi, arrevuta’ sta a simboleggiare un'azione (da qui anche il sostantivo ‘o rrevuot’) che sconvolge una situazione. “M’arrevuot ‘o core”, quindi, è traducibile con “mi hai sconvolto il cuore”. Quanto a “amm’ fatt’ ammor’” è un tipico esempio di false friend napoletano. Istintivamente verrebbe da tradurlo con “abbiamo fatto l’amore”, quando invece è una espressione che viene utilizzata per indicare una passata relazione sentimentale. “Amm’ fatt’ ammor’”, infatti, significa “siamo stati fidanzati”.
Te l’agg itt ca staje mman a l’art ( da "Gaiola Portafortuna")
Uno dei più guasconi e brillanti modi di dire napoletani. “Staje ‘mman a l’art’” vuol, letteralmente, significare affidarti a qualcuno di estremamente esperto in quello che sta facendo (l’arte, appunto). In questo caso LIBERATO riferisce l’espressione a una situazione amorosa, esortando la ragazza a fidarsi di lui. “Staje ‘mman a l’art”, però, nasconde anche una leggera venatura ironica: molto spesso quando si usa questa espressione il risultato poi è l’opposto di quello promesso.
Perche’ me mis’ int’ o stritt? (da "Intostreet")
Il primo dei due nuovi singoli di LIBERATO gioca, come spesso succede nei suoi testi, con l’inglese, fondendo in questo caso una tipica espressione napoletana “ind’ o’ stritt’” (nello stretto) con street. In questo caso l’uso che LIBERATO fa dell’espressione è più italiano che napoletano. “Int’ ‘o stritt’” viene più comunemente utilizzato, in dialetto, per simboleggiare una situazione fisica più che “essere messo alle strette”.
Ma che so’ sti chiar’e lun’ staie cu iss ma po’ chiamm ca (da "Intostreet")
“Cu’ sti chiar’ e lun’” è un'espressione tradotta direttamente dalla tradizione popolare, e contadina, italiana. È molto utilizzata in napoletano, ma non più di quanto non venga usata anche in italiano. La seconda parte della frase, invece, riporta una immagine tipica della tradizione neomelodica napoletana, utilizzata più e più volte nei centinaia di testi che raccontano soliti triangoli amorosi.
Cu' l'uocchie pittate 'e smeraldo E 'o core p''a via (da "Je te vogl ben assai")
“D’uommene schicce e femmene pittate”, comincia così “Zappatore”, uno dei più celebri brani di Mario Merola. Da lì, l’espressione “femmen’ pittat’” (donne truccate) è stata declinata in vari modi. In questo caso LIBERATO parla degli occhi della donna come “pittate ‘e smerald”, dipinti di smerlando, in quello che è forse il più poetico e tradizionale dei suoi versi. Le continue montagne russe culturali a cui LIBERATO sottopone i suoi ascoltatori si confermano anche in "Je te vogl bene assai" (già dal titolo, in verità) e in "Intostreet", che citano versi di "Dicitancello Vuje", classico della canzone napoletana, esempio di longevità e melodia partenopea.