Samurai Jay
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Non tutte le Lacrime vengono per nuocere: intervista a Samurai Jay
Il rapper napoletano è soddisfatto del suo primo album, carico di feat importanti come Gué Pequeno, Geolier e Rkomi
Di Claudio Biazzetti
5 minuti di letturaPublished on
Come primo disco, Lacrime è una bella soddisfazione per Samurai Jay. 22 anni, nato e cresciuto a Marano di Napoli, diversi dischi d'oro alle spalle e ora un meritato, atteso primo album dove Gennaro Amatore si mostra un po' meno spaccone e più emotivo di come eravamo abituati a vederlo nei singoli degli ultimi anni. Ma pur sempre un Samurai, ovvio.
Che effetto fa il primo disco?
Un mix di emozioni: un giorno sono felice, poi un'ora dopo sono in ansia. Poi sono di nuovo felice. È un'altalena continua. L'unica cosa che mi fa un po' male è non potermi godere a pieno l'esperienza di un primo disco nel suo complesso, quindi anche con il tour. Magari la potrò sperimentare al secondo disco, se tutto si sistema.
Alla fine il Samurai è capace anche di fare il romantico.
Sì, assolutamente. Sono una persona molto, molto emotiva. E la gente lo capirà o lo scoprirà sicuramente con questo album. Sono molto sensibile, non l'ho mai dimostrato. Ho sempre mostrato un altro lato di me, perché volevo conservare la mia parte più sensibile apposta per l'album. Poi anche crescendo una persona capisce quali sono i messaggi importanti da comunicare, con la musica soprattutto. Capisci che la sincerità di un testo, un pezzo crudo che ti fa capire quanto io stia male, ecco, quella è vera arte.
Quando si parlava dei singoli, non ho dato molto peso alla scrittura. E questo è stato forse un mio punto debole. Essendo un compositore, uno che arriva dalla musica, mi piaceva molto far suonare bene le cose però non mi concentravo molto sulle parole, sui messaggi. Poi crescendo ho capito quanto è importante lasciare qualcosa, oltre i suoni. La persona si deve affezionare alla canzone, altrimenti la canzone il giorno dopo muore. Arte è lasciare un segno. I dischi che mi sono rimasti sono quelli che, quando li ascoltavo, mi dicevo: "Cavolo, anche io mi ci sono trovato in questa o quell'altra situazione!" Spero di aver fatto un disco così, che ti ricordi un periodo della tua vita. Si regge sulle emozioni.
E anche su tanti generi diversi. Ha senso parlare di trap?
No, anzi. Non dico che discrimino, perché la trap la faccio ogni tanto. Però Samurai Jay non è un artista trap. Samurai Jay è un artista, fa musica. Non la so classificare, e questo disco è il risultato di tutta la musica che ho ingurgitato in questi anni. Ed è tanta. Faccio un genere X, sono un artista polivalente. Forse è una caratteristica anche della mia generazione, ma il rap, il pop e il rock secondo me non esistono più. Si sono rotte tutte le barriere dei generi. Ci sono poche persone che mantengono una coerenza con un solo genere, e io lo rispetto. Ognuno ha la sua visione. Però ormai si stanno rompendo le regole dei generi, dal Drake al ragazzino nel suo scantinato.
Non ci sono neanche più confini geografici: nei pezzi sembri quasi milanese nell'accento.
È una cosa che mi hanno detto! Molti credono che io sia di Roma, altri di Milano. Perché, ripeto, mi applico molto per far suonare le cose come voglio. Mi mettevo lì davanti al microfono e cantavo, cantavo finché non suonava come volevo io. In un determinato modo. Ed è uno stile che si è evoluto poi da solo, mi viene naturale ora cantare così. Magari è anche perché mi sono avvicinato al rap milanese all'inizio, per le robe in italiano. Poi è chiaro che è nato tutto Oltreoceano.
Beh, nel disco la quota milanese è di tutto rispetto infatti, fra Rkomi e Gué Pequeno.
E che te lo dico a fare! Canzoni d'Amore ft. Rkomi è un brano che ha un anno e mezzo. Ma io prima di fare contratti e cose sapevo per certo che ci voleva lui su questo pezzo. Era disegnato su misura per lui. La scelta dei featuring non è stata dettata dall'hype o dai nomi in voga, ma dalla musica. A seconda di quello che mi suggeriva lei, io ce lo mettevo. Mirko è stato il primo. Poi Gué. Stiamo parlando di un peso massimo nazionale, di G. Sono davvero felice di avere un nome come il suo nel disco di esordio, me lo sono guadagnato con rispetto. E poi lui era stracontento di fare un pezzo rap proprio spaccone. E pensare che lui stesso credeva che facessi solo roba melodica. Al telefono mi disse: "Oh, ma sta roba che fai rap spacca il culo!"
E poi vabbè, ci si aspettava un secondo episodio con Geolier.
Sì, dopo il disco d'oro di GANG si aspettavano tutti un ritorno insieme. Vabbè, ma Manu è proprio un amico. È una cosa che va oltre la musica, ci vogliamo davvero bene. Abbiamo mosso i nostri primi passi insieme. Resta con Me comunque è nata da questa eterna competizione amichevole tra me e lui quando siamo in studio. Ci dobbiamo sempre superare, dobbiamo sempre fare qualcosa di più grosso quando stiamo insieme. Allora abbiamo fatto un pezzo che fosse di un altro pianeta rispetto a quello che avevamo fatto finora insieme. Sonorità strane, non abbiamo cercato la hit ma un pezzo fuori da tutto, sperimentale. È l'apice, il coronamento della nostra amicizia. Lui fa pure una parte in italiano.
Tu però la parte in napoletano non la fai mai.
No, mi sarà capitato due volte in croce nella vita. A parte qualche termine, lo faccio quando lo sento necessario. Non voglio forzare il fatto che sono di Napoli. Chi lo sa, lo sa. Poi nel disco lo canto pure, sono fiero di venire da qui. Però in un momento in cui Napoli sta andando forte nella musica, non mi va di giocare su 'sta cosa qua. Io sono napoletano e ne vado fiero. Amen.
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